.
La tecnica del commesso (dal latino committere = congiungere) venne elaborata nel Cinquecento come recupero dell’antico opus sectile romano.
.

.
Inizialmente praticata a Roma per il suntuoso rivestimento di cappelle gentilizie e per preziosi piani di tavolo di rappresentanza con il prevalente utilizzo di pietre e marmi archeologici composti secondo disegni geometrici, essa raggiunse i massimi esiti nell’Opificio delle pietre dure di Firenze, istituito nel 1588 da Ferdinando de’ Medici.
.

.
La produzione dell’Opificio mediceo si orientò decisamente su soggetti naturalistici e figurativi in pietre dure, determinando il successo di questa difficile arte che conquistò le corti italiane ed europee.
.

.
Maestranze fiorentine vennero infatti chiamate a dirigere le celeberrime manifatture, volute sul modello di quella medicea, da Rodolfo II d’Asburgo a Praga, da Luigi XIV ai Gobelins (1667) e da Don Carlos di Borbone a Napoli (1738). Alla direzione di un laboratorio di pietre dure venne chiamato dai duchi estensi a Modena nel 1680 anche il fiorentino Benedetto Corbarelli.
.

.
Contemporaneamente, l’arte del commesso trovava straordinarie opportunità di impiego anche nel rivestimento degli altari che, grazie alla “pittura di pietra” potevano offrire al fedele occasioni di istruzione religiosa e spunti di devozione, finalità didattiche particolarmente sentite dall’Ordine domenicano. Per i Domenicani i maestri di origine fiorentina Corbarelli realizzarono l’altare maggiore di Santa Corona a Vicenza (1670-1686), che resta a testimoniare la grandiosità e suntuosità dei loro perduti altari maggiori di S. Agostino a Padova (1664-1667) e di San Domenico a Brescia (1687. vedi in merito Renata Massa, La Pietra nell’Arte Bresciana. Decorazioni e tecniche, botteghe e maestri nel Seicento e Settecento, Brescia 2013)
.

.
a cura di Renata Massa